Si fa presto a dire inclusione, un termine apparentemente di semplice e immediata comprensione, alla portata di tutti insomma. Se includi qualcosa in qualcos’altro, è chiaro: vuol dire che aggiungi, inserisci, introduci. O anche alleghi. Ma se anziché una “cosa” includi una persona, un gruppo di persone, una categoria di persone, utilizzare gli stessi verbi è riduttivo, o quanto meno inadeguato.

In quel caso le parole chiave, i “significati”, diventano altri, e cioè: accettazione, accoglienza, appartenenza. E uguaglianza: quella parificazione che per molti è ancora oscura. Per timore, insicurezza, prevenzione, incultura, o magari semplicemente per arroganza. Comunque incomprensibile.

Si fa presto a dire inclusione, ma tanti, troppi, non riescono ancora a considerare azzerati i tanti handicap che la natura propone nelle relazioni interpersonali e nelle situazioni della vita di tutti i giorni.

Lo sport è una delle vetrine più evidenti di tali disparità ed è anche uno degli ambiti che più velocemente parrebbe correre nella direzione dell’integrazione (ops! dell’inclusione). Il movimento paralimpico, per esempio, ha acquisito una sempre maggiore dignità fino ad affiancare quello olimpico già da qualche quadriennio.

C’è ancora da lavorare, però. In particolare cercando di cancellare vecchi pregiudizi e di pareggiare i livelli di percezione delle diverse unicità che l’una e l’altra realtà propongono.

Colpisce, pertanto, che i Giochi olimpici e paralimpici siano ancora rappresentati da loghi differenti. Passi che per oggettivi motivi di carattere pratico si disputino in periodi diversi – comunque immediatamente successivi –, ma nulla osterebbe perché entrambi vivano l’esperienza sotto il medesimo logo.

Eppure qualcosa si muove. Di recente, per esempio, allo “svelamento” dei loghi olimpico e paralimpico dei Giochi invernali di Milano Cortina 2026, il dottor Vincenzo Novari, CEO della Fondazione che sovrintende il comitato organizzatore, si è di fatto scusato per la proposizione di un duplice emblema.

«Ne avremmo voluto uno unico – ha affermato –, ma si è dovuto ricorrere a un secondo logo per i Giochi paralimpici una volta verificato che Futura, quello scelto, per la prima volta nella storia delle Olimpiadi, dagli appassionati dello sport, era difficilmente percepibile dagli atleti ipovedenti».

«È bello, comunque, sottolineare la non diversità del logo – ha precisato il presidente del Comitato italiano paralimpico Luca Pancalli –, seppur realizzato con una differente declinazione cromatica. Abbinati, i due loghi si dischiudono a un futuro di sostenibilità e inclusione».

Eccola tornare la parolina magica. «Ma perché di vera inclusione si parli – ha proseguito il presidente Pancalli – si deve fare sempre, sempre, sempre, lo sforzo di associare termino logicamente l’Olimpiade di Milano Cortina 2026 all’omologa Paralimpiade».

Si riferiva principalmente al mondo della comunicazione, perché non dimenticasse la seconda, o quanto meno non la subordinasse, mortificando l’impegno di chi rilancia il messaggio del mondo paralimpico di affermare l’uguaglianza di tutti.

Si fa presto a dire inclusione, ma forse si sta cominciando a darle anche un significato più profondo «in un Paese che deve fortemente rinnovarsi nella propria cultura – ha chiosato Pancalli –. Nel duplice logo di Milano Cortina 2026 – uguale ma diverso, o, se si preferisce, diverso ma uguale – sta tutto questo».

Sta a noi appropriarcene e saperlo raccontare sempre meglio.

Anche con i fatti.

Marco Marchei